Dalla mia esperienza di biologa laboratorista ho notato che la connessione tra nutrizione e laboratorio si è notevolmente ampliata, e questo in risposta alle molteplici sollecitazioni in termini di cultura del cibo e del mangiar sano al fine di vivere meglio e più a lungo.
Gli indicatori analitici più comuni, come glicemia, insulina, transaminasi e tanto altro, sono dei semplici tasselli di un grande mosaico da comporre e monitorare, dove fattori analitici meno noti assumono un ruolo chiave nel miglioramento della funzionalità degli organi, del sistema immunitario e del microbiota intestinale.
Sono diventati esami di screening il magnesio, lo zinco, l’omocisteina, la vitamina D, i folati e le vitamine del gruppo B.
Si parla frequentemente di intolleranza al lattosio, di indagini analitiche per la celiachia e la sensibilità al glutine, di test allergici per gli alimenti, di test di intolleranze alimentari e tutto questo per attribuire i vari sintomi, come gonfiore addominale, meteorismo e quant’altro, ad una causa esterna, senza pensare alla possibilità che una alimentazione sregolata e non adatta al proprio stile di vita, possa essere la causa di tutti i disturbi con cui si convive, cercando disperatamente una risposta in test di ultima generazione.
Per questo motivo ho pensato di approfondire la relazione tra un test analitico e il corretto comportamento alimentare, nel senso di suggerire di volta in volta cosa va aumentato e cosa diminuito nella dieta quotidiana per aiutare il paziente nel percorso curativo prefissato dal medico o dallo specialista con il supporto del farmaco o dell’integratore.